FIGLIO DELLO STRETTO, FIGLIO DELL’ASPROMONTE

Radici, fede e orizzonti: il viaggio di un uomo tra il mare dello Stretto e le vie del mondo

di Pietro Bucolìa 

I. Radici e mare

Sono figlio dello Stretto,

dove il vento canta storie antiche,

dove il mare raccoglie memorie,

dove l’Etna sorveglia l’orizzonte

e l’Aspromonte sussurra al cuore.

Sono figlio della Chiesa di Paolo,

cresciuto nel fuoco della parola,

nutrito dal pane della carità,

guidato da voci che parlano d’eterno.

Le onde raccontano di Ulisse,

della sua sete d’infinito,

del suo ritorno mai sazio,

del suo cuore stretto tra nostalgia e sogno.

II. L’orizzonte, il cielo e il mare

Nel cuore delle acque eterne

si ergono Scilla e Cariddi,

guardiane di sogni e tempeste,

custodi del coraggio e del fato.

Ogni vela che sfida il destino

sente il loro respiro profondo,

vede l’acqua farsi abisso,

ascolta il richiamo del mito.

Brilla all’orizzonte lo Stromboli,

torcia ardente tra cielo e mare,

voce di fuoco e profondità,

luce segreta dei marinai.

L’orizzonte è infinito e misterioso,

dove il mare si fonde col cielo,

dove il sole tramonta nel fuoco

e la luna si specchia nell’onda.

Il cielo è azzurro e fiero,

solcato dal volo delle aquile,

ricamato dai canti dei passeri,

profumato dal respiro del mare.

E l’aria è carica di vita,

di salsedine e vento caldo,

di zagara e ginestra in fiore,

di promesse portate lontano.

III. I colori della mia terra

La mia terra è Mediterraneo,

è oro di campi assolati,

è il verde degli ulivi millenari,

è il rosso delle terre d’argilla,

è l’azzurro di un mare che accoglie e racconta.

Profuma di arance e fichi,

del giallo della ginestra in fiore,

del rosso delle more mature,

del bianco della zagara,

che avvolge il vento di dolcezza.

È la terra delle mani ruvide e forti,

che raccolgono fichi caldi di sole,

che sfiorano la scorza delle arance,

che curano gli ulivi generosi,

mentre l’infanzia ritorna

nel profumo della terra e del vento.

Nel meriggio che incendia le colline,

tra i mandorli fioriti,

nel canto incessante delle cicale,

la mia terra respira speranza.

Sento la melodia dei cardellini e dei passeri,

vedo le aquile solcare il cielo,

le farfalle danzare leggere,

la lucertola immobile al sole,

la gente in festa tra canti e sorrisi,

gli amici di sempre, fedeli come il tempo.

IV. La voce della casa

La mia casa aveva il profumo del pane,

il calore di mani operose,

la dolcezza delle zuppe di mia madre,

che cuocevano lente sul fuoco,

mentre il giorno si spegneva nel silenzio.

Lei era voce paziente e mani forti,

era l’alba che scioglieva la notte,

era il cuore che batteva per tutti,

la certezza che ogni inverno

avrebbe avuto primavera.

Mia sorella aveva una voce chiara,

di canto e di sogno,

di parole gentili che restano nel tempo,

di affetti intessuti come fili d’oro.

mio fratello,

con la sua energia impaziente,

era la corsa nei campi all’alba,

era il vento che scuoteva le porte,

era la risata che profumava di mare.

E poi il palmento,

le polpette che friggevano nella padella,

lo sfrigolio che riempiva l’aria di festa,

il mezzo bicchiere di vino,

benvenuto sincero,

calore di casa,

la tavola lunga con gli zii e gli amici,

le risate, le storie,

la gioia semplice di chi conosce il valore del condividere.

V. Mio padre e la vigna

Ogni sera mio padre tornava dalla vigna,

con la zappa sulle spalle,

il sudore sulla fronte,

il profumo della terra sulle mani.

L’Aspromonte lo guardava dall’alto,

custodiva la sua fatica,

benediceva la sua vigna,

tracciava il suo destino.

Ora vivo accanto al Po,

nella città del Proclama,

dove il fiume scorre lento e silenzioso,

dove la storia ha parlato alla nazione,

dove il tempo avanza con misura,

senza il fremito impetuoso del mare.

Qui lavoro e parlo di vita e destino,

tra i sogni e i sudori della gente,

aiuto a realizzare speranze,

a costruire futuro con mani salde,

a proteggere la famiglia dall’urto dei mercati,

a custodire ciò che vale davvero.

Qui ho costruito una casa,

qui sono nati i miei figli,

qui ho intrecciato amicizie vere,

che resistono all’urto del vento,

che non si spezzano nelle tempeste.

VI. I miei maestri

E finché la mia voce avrà fiato,

ricorderò i miei maestri,

custodi della mia crescita,

artigiani di pensiero e speranza.

Don Italo,

amore, premura, accoglienza e calore,

che mi ha insegnato che la fede

non è solo parola, ma vita donata.

Padre Giovanni,

voce forte e profonda,

passione ferma e coerenza,

amicizia autentica che non teme il tempo.

Suor Valeria e Suor Veronica,

amiche della mia adolescenza,

sorelle delle madri che mi hanno cresciuto,

vive dolci, sguardo sereno,

pensieri profondi e illuminanti.

Carmelo e Pina,

famiglia e diaconi di Cristo,

pilastri della comunità,

che sulle orme di Don Italo

portano avanti la parrocchia,

custodiscono la luce,

mantengono viva la speranza.

A loro devo ciò che sono,

a loro affido ciò che sarò.

VII. Il domani che chiama

E se il vento mi porterà lontano,

se nuove strade si apriranno ai miei passi,

se il cielo mi chiederà ancora di partire,

porterò sempre con me il sole del mio mare,

l’eco delle campane della mia terra,

la voce dei maestri,

il calore di chi ha amato senza misura.

Perché non si è stranieri

quando si porta dentro casa,

perché non si è soli

quando la fede illumina il cammino,

perché non si smette di amare

quando il cuore è radicato nel Cielo.