IL PREZZO DEL POTERE: QUANDO L’IMPRESA SFIDA LA POLITICA

Tesla crolla, il Nasdaq vacilla: lo scontro Musk-Trump è una lezione brutale sulla vulnerabilità dei mercati iper-dipendenti da leadership carismatiche

di Pietro Bucolia – Consulente finanziario e narratore economico

Uno scontro epocale. Una lezione per i mercati.

Nella serata di ieri abbiamo assistito a un episodio che segnerà a lungo la percezione del rapporto tra potere politico e potere imprenditoriale negli Stati Uniti: lo scontro diretto, brutale e senza filtri tra Elon Musk e Donald Trump. Un conflitto che non può essere archiviato come semplice scambio di battute, ma che merita un’analisi severa per le sue implicazioni sistemiche.

Tutto è cominciato con una dichiarazione esplosiva di Musk: una richiesta pubblica di impeachment nei confronti del Presidente, accusato di trattenere documenti riservati riguardanti Jeffrey Epstein, nei quali – secondo Musk – Trump comparirebbe in atteggiamenti compromettenti. Un’accusa grave, che colpisce non solo la persona ma la credibilità dell’intera istituzione presidenziale.

La risposta di Trump è stata immediata e minacciosa: ha dichiarato l’intenzione di revocare i contratti governativi e i sussidi pubblici alle aziende di Musk – Tesla e SpaceX – con l’obiettivo dichiarato di risparmiare miliardi di dollari. Ma dietro l’argomentazione economica si intravede chiaramente una rappresaglia politica. In ballo ci sono programmi strategici della NASA, la fornitura alla Stazione Spaziale Internazionale e gli incentivi fiscali legati alle auto elettriche.

Quando la politica minaccia l’innovazione

Musk ha replicato sminuendo la portata delle minacce, rivendicando il proprio contributo alla vittoria elettorale di Trump e ricordando i fondi investiti nella sua campagna. Ma il punto ormai era superato: non si trattava più di divergenze su una legge fiscale. In gioco c’era il futuro di Tesla, direttamente legato agli incentivi per i veicoli elettrici. Secondo Musk, il loro azzeramento peserebbe per circa 1,2 miliardi di dollari sui profitti dell’azienda.

Eliminare questi benefici non significherebbe solo colpire Tesla: significherebbe fermare la transizione tecnologica americana verso una mobilità più sostenibile. Significherebbe dichiarare guerra a un intero ecosistema industriale, già sotto pressione per margini in calo e concorrenza crescente.

Il culmine dello scontro è arrivato con l’annuncio da parte di Musk dell’intenzione di “decommissionare” la navicella Dragon di SpaceX, fondamentale per il trasporto umano verso la ISS. Un gesto che avrebbe privato la NASA di una risorsa chiave. Quando un’azienda privata può tenere in ostaggio un programma spaziale nazionale, qualcosa nel rapporto tra Stato e impresa è andato fuori asse.

I mercati rispondono: crollo Tesla, effetto domino tech

Nelle ore successive, Musk ha parzialmente ritrattato, dichiarando la necessità di “raffreddare i toni”. Ma il danno era fatto: giovedì il titolo Tesla ha perso il 14%, la peggior flessione dal marzo scorso, bruciando circa 150 miliardi di dollari di capitalizzazione.

Il motivo? Gli investitori avevano valutato Tesla anche sulla base della “relazione privilegiata” tra Musk e l’amministrazione Trump. Senza quella protezione, con un P/E di 152x e utili in rallentamento, la valutazione del titolo è apparsa insostenibile.

Ma la frana non si è fermata lì. Le margin call hanno innescato una cascata di vendite forzate tra i titoli preferiti dagli investitori retail:

– Palantir: –7,7%

– Super Micro Computer: –7,6%

– CoreWeave: –17%

Un effetto contagio dovuto alla leva finanziaria, all’eccesso di esposizione e alla fragilità del comparto retail. I piccoli risparmiatori che avevano “comprato la discesa” ora si trovano costretti a vendere nel panico.

Tesla trascina giù anche il Nasdaq

Tesla è uno dei pesi massimi del Nasdaq. Il solo crollo del 15% ha contribuito per 45 punti base al ribasso dell’indice. Ma l’effetto più pericoloso è quello indiretto: la liquidazione forzata di ETF tematici, fondi a leva e strumenti esposti sul comparto tech.

Le margin call non colpiscono solo i piccoli: anche i grandi gestori sono costretti a ribilanciare, vendere, alleggerire, causando ulteriori pressioni sugli stessi titoli e sugli stessi indici.

Oltre la polemica: riflessioni per chi investe

Al netto del gossip politico, la lezione è chiara: i conflitti personali tra figure pubbliche possono innescare movimenti di mercato profondi e rapidi. Quando l’intreccio tra potere e impresa diventa tossico, a farne le spese sono le valutazioni, le aspettative e la stabilità dell’intero sistema finanziario.

La sfida per gli investitori non è prevedere chi avrà ragione tra Musk e Trump, ma capire quando una narrazione si incrina e il rischio si fa sistemico. In quei momenti, non servono previsioni. Serve lucidità.

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Pietro Bucolia

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