LA PAROLA CHE NON SI VENDE

Scegliere la verità nel tempo delle narrazioni false e delle bugie costruite ad arte

di Pietro Bucolia – Consulente finanziario e narratore economico

Il coraggio di dire la verità

«Il coraggio, uno non se lo può dare.»

(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi)

Eppure arriva un momento in cui bisogna darselo lo stesso.

Non perché lo si abbia, ma perché tacere diventa peggio che parlare.

E allora la parola – quella vera, non venduta, non manipolata – diventa l’unico rifugio della dignità.

Viviamo un tempo in cui la parola autentica è un gesto rivoluzionario.

Nel lavoro, nella politica, nelle relazioni, è sempre più raro chi parla non per apparire, ma per servire.

Per servire la verità. Per custodire la giustizia. Per amore della dignità.

Il tempo delle narrazioni false

Siamo immersi in un’epoca in cui la parola non ha più peso specifico.

Conta come viene confezionata, non se è vera.

Conta se serve a piacere, non se serve a cambiare.

Le parole si sono fatte fluide, liquide, seducenti…

Ma hanno perso il cuore.

La parola estetica, narcisistica, solipsista – o peggio ancora opportunista –

non è più un ponte tra persone, ma un meccanismo per mantenere il potere, per nutrire la convenienza.

Esca, strumento, trappola

Oggi, parlare può essere un’esca.

Si lancia una frase per testare, sedurre, confondere.

Poi si ritira. Poi si nega. Poi si colpisce.

La parola non è più offerta, ma strumento di calcolo.

E così diventa trappola: un modo per bloccare l’altro, zittirlo, escluderlo, farlo sentire inadeguato.

Le due monete di Giuda

A volte, basta poco per vendere la parola.

Non servono trenta denari.

Bastano due monete di convenienza.

Una promozione.

Un incarico.

Un silenzio garantito.

Un quieto vivere.

Ma il prezzo della parola svenduta è sempre lo stesso:

la perdita della propria libertà interiore.

Don Abbondio o fra Cristoforo?

La grande letteratura ce lo ha insegnato:

ognuno, prima o poi, deve scegliere da che parte stare.

Don Abbondio rappresenta il silenzio per paura.

Fra Cristoforo è la parola presa con coraggio, con amore e con rischio.

«Voi avete potuto fare quel che vi piaceva di un povero frate: ma Dio c’è!»

Chi tace per prudenza, si consegna alla prepotenza.

Chi parla per amore della giustizia, anche se solo, non è mai sconfitto.

Il silenzio degli onesti

Il problema più grave non sono i bugiardi.

È il silenzio degli onesti.

Chi vede e non dice.

Chi capisce e non scrive.

Chi sente ma lascia correre.

Il mondo non è stato distrutto da chi fa il male,

ma da chi guarda e lascia fare.

Le eristiche del potere

Quando la parola non cerca la verità, ma il dominio

C’è un modo di parlare che non vuole costruire, ma distruggere.

Non vuole chiarire, ma umiliare.

Non vuole comprendere, ma screditare.

Sono le eristiche del potere: tecniche discorsive per dominare l’altro, a prescindere dalla verità.

Le più comuni?

  • Spostare il piano del discorso: si attacca il dettaglio, non il cuore della questione.
  • Screditare l’identità: “Chi sei tu per parlare?”
  • Invertire la colpa: chi denuncia diventa il problema.
  • Sovrastare con il tono: urlare, affrettarsi, confondere.
  • Fingere dialogo, ma chiudere ogni ascolto.
  • Etichettare come divisivo chi chiede solo chiarezza.

Quando la parola non cerca la verità ma il controllo,

diventa strumento di manipolazione.

L’eredità di don Italo

Imparare a leggere, scrivere, parlare: per difendere la verità

Don Italo Calabrò non ci ha insegnato solo a pregare.

Ci ha insegnato a leggere, a scrivere, a parlare.

Ma non per brillare, né per convincere.

Per vivere. Per difendersi. Per difendere.

«Pietro, impara a leggere e a scrivere.

Perché saper usare la parola serve per la vita.

Serve per difendersi.

Per difendere la verità.

Per servire la giustizia.»

Parole semplici. Parole scolpite.

Parole che oggi ritornano, come un’eredità che non passa mai di moda.

Don Italo ci ha insegnato che la parola vera non è una strategia, ma una responsabilità.

Non serve per manipolare, ma per servire il bene comune.

Non si usa per farsi largo, ma per aprire spazio anche agli ultimi.

Ha preso la parola nella vita, con la sua vita.

E ci ha insegnato che il silenzio, quando è comodo, è complice.

E che parlare – con amore, con dolore, con fedeltà – è l’unica forma seria di pace.

Prendere la parola, sempre

Parlare non per orgoglio, ma per coscienza.

Scrivere non per apparire, ma per fedeltà alla realtà.

Esporsi non per calcolo, ma per giustizia.

La parola che salva non è quella che grida,

ma quella che illumina.

Quella che non si vende.

Cosa possiamo fare oggi

  1. Scegliere la parola giusta, non quella utile.
  2. Parlare con rispetto, ma senza paura.
  3. Riconoscere le trappole linguistiche.
  4. Non tacere di fronte alla falsità.
  5. Custodire il valore della parola come atto d’amore e verità.

Scrivimi

Tu, che parola scegli di essere?

Condividi la tua esperienza.

Aiutami a costruire un tessuto umano fatto di verità, giustizia e libertà espressa con mitezza e coraggio.

scrivimi@pietrobucolia.it

Dedica finale

A chi ha perso tutto,

ma non ha venduto la propria parola.

A chi ha scelto la coerenza,

anche se costava lacrime, sangue, silenzio e solitudine.

A chi sa che la parola, se è vera, non tradisce.

A don Italo Calabrò,

che ci ha insegnato che la verità va detta con amore, servita con fedeltà, e custodita come un sacramento civile.