Tra nazionalismi, crisi dei valori e identità smarrita: cosa resta del sogno occidentale
di Pietro Bucolia – consulente finanziario e narratore economico
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.” Dante Alighieri, Inferno, Canto XXVI
Nel rumore confuso del nostro tempo, tra guerre vecchie e nuove, crisi climatiche, leadership stanche e ideali sbiaditi, l’Occidente appare come un gigante smarrito. Ma cosa abbiamo davvero perduto?
Segnali di un passato che ritorna
Mi soffermo su quel tabellone che, in quella bizzarra cerimonia del 2 aprile, faceva molto “anni Ottanta”. Il tabellone è rivelatore della mentalità passatista di Trump, un uomo che mitizza il passato, come fanno coloro che non sono capaci di visione. L’uso del tabellone rigido sembra ignorare l’esistenza degli schermi digitali; quel tabellone è la plastica raffigurazione di un uomo vecchio nell’età e nello spirito, incapace di immaginare il futuro.
Ma non è solo un dettaglio estetico o nostalgico: su quel tabellone sono state scritte cifre e frasi che travisano la realtà, numeri selezionati per costruire una narrazione trionfalistica e semplificata, in perfetto stile propaganda. La crescita economica, i posti di lavoro, le esportazioni: tutto esibito in modo artificioso, senza contesto, senza verifica, senza confronto con dati reali. Quel pannello rigido è diventato così il manifesto fisico di un’epoca che vuole apparire solida, ma che si fonda su retorica fragile e visioni distorte. Nella comunicazione politica, ogni immagine è un messaggio. E quel tabellone, immobile e analogico, trasmette un’idea di controllo, di semplicità rassicurante, ma anche di negazione della complessità e della modernità. È la rappresentazione visiva di un potere che rifiuta di evolvere, preferendo il mito della stabilità al rischio dell’innovazione. Un simbolo di regressione, più che di progresso.
Leader ancorati al passato
Per chi conserva una visione autentica dell’Occidente, Trump rappresenta una profonda delusione: non un difensore dei suoi valori fondanti, ma piuttosto una loro caricatura. La sua retorica enfatica e divisiva, il richiamo costante a un passato idealizzato, la strumentalizzazione della libertà economica come unico principio guida, tradiscono lo spirito di equilibrio, dignità e ragione che ha plasmato la civiltà occidentale.
Il mondo è nelle mani di vecchi senza visione: Trump vagheggia il ritorno alla manifattura e al sogno americano degli anni Cinquanta; Putin si crogiola nel neo-imperialismo in cui la Russia sovietica si fonde con quella zarista; Xi Jinping vuole restituire alla Cina, la Terra di Mezzo, il ruolo di baricentro del pianeta. Ma la freccia del tempo scorre inesorabilmente in avanti; i cambiamenti esigono intelligenza, nel senso latino di intelligere, cioè comprendere in profondità, e capacità di adottare e adattare soluzioni. Il futuro, però, non nasce dalla nostalgia né dall’isolamento. Per ritrovare un’identità condivisa, l’Occidente deve riconoscere le proprie radici. Siamo nelle mani di leader irrimediabilmente vecchi, non solo nell’età ma nella testa.
Memoria e radici da ritrovare
La ricchezza dell’identità occidentale si fonda su un patrimonio straordinario, che va ben oltre i principi moderni dell’Illuminismo. Le sue radici affondano nella filosofia greca, che ha insegnato il valore della ragione; nel diritto romano, che ha posto le basi della civiltà giuridica; e nel cristianesimo, che ha promosso la dignità dell’uomo, la carità e la solidarietà. È da questo intreccio culturale e spirituale che si è sviluppata l’idea di un Occidente capace di coniugare libertà e responsabilità, mercato e giustizia sociale.
La povertà dei valori contemporanei
Oggi, molti osservatori denunciano una “povertà valoriale”: un vuoto etico che si manifesta nel linguaggio politico, nella superficialità del dibattito pubblico, nella perdita di fiducia verso le istituzioni. Trump, con il suo pragmatismo muscolare, incarna in parte questo smarrimento: difende l’economia nazionale, ma riduce le relazioni internazionali a un gioco a somma zero, relegando i diritti e la cultura condivisa a strumenti negoziali.
L’uomo liquido e narcisista
In questo contesto si inserisce la figura dell’uomo liquido, per riprendere l’immagine coniata da Zygmunt Bauman: un individuo privo di legami duraturi, guidato da emozioni momentanee, da un io fragile che cerca costante approvazione. Accanto a lui, l’uomo narcisista domina la scena culturale contemporanea, centrato su se stesso, incapace di responsabilità collettiva e incline al consumo compulsivo di immagini e identità. Questa combinazione alimenta la crisi del senso, disgrega le comunità e ostacola ogni progetto condiviso. Si pensi al dominio dei social media, dove l’identità è spesso costruita in funzione dello sguardo altrui. L’uomo liquido posta, cancella, reinventa se stesso in un flusso continuo di immagini. L’uomo narcisista, invece, si esprime in politici che si specchiano nei propri sondaggi, in influencer che vendono autenticità prefabbricata, in cittadini che consumano idee come prodotti. Entrambi sono incapaci di comunità, impermeabili alla memoria e disabituati alla responsabilità.
Un cristianesimo tradito
Trump si è spesso presentato come paladino dei “valori cristiani”, guadagnandosi il sostegno compatto di una parte dell’elettorato evangelico statunitense. In alcuni casi ha preso posizioni in difesa della vita nascente, attirando il plauso di ambienti religiosi conservatori. Tuttavia, l’adesione a un valore non basta a costruire una visione coerente: la retorica divisiva, l’indifferenza verso i poveri, gli stranieri e i vulnerabili — tutti temi centrali del Vangelo — pongono una contraddizione profonda. Il cristianesimo autentico, quello delle Beatitudini, non è un’icona da brandire ma un richiamo alla giustizia, alla compassione e alla verità. Quando il potere strumentalizza la fede, ne tradisce lo spirito.
E l’Europa?
L’Europa, culla dell’umanesimo, della filosofia, del diritto e della modernità politica, sembra oggi paralizzata. Eppure, proprio in questo scenario di crisi globale, potrebbe rialzare la testa. Perché ha ancora — nei suoi popoli, nelle sue università, nella sua arte — le risorse per proporre un modello alternativo, fondato sulla dignità umana e sulla ragione. Forse è l’Europa che, dopo decenni di silenzio strategico, dovrebbe finalmente uscire dal suo guscio e diventare un soggetto politico vero, capace di esprimere con forza i propri valori, il suo straordinario potenziale economico, culturale e civile. Un continente che ha generato l’idea stessa di dignità umana e libertà dovrebbe oggi tornare a incarnarla, non solo custodirla in modo passivo. Forse il tempo è venuto perché l’Europa non sia più soltanto erede del passato, ma voce viva del futuro.
Uno sguardo in avanti
Perché l’Occidente ritrovi se stesso non basta evocare la grandezza passata: bisogna ricostruirne le fondamenta. Serve un nuovo patto educativo, che riporti al centro il pensiero critico, la storia, la filosofia. Serve una politica che smetta di rincorrere il consenso immediato e torni a farsi carico della giustizia e del bene comune.
L’Occidente non sarà mai davvero perduto, finché resterà qualcuno disposto a custodirne la memoria e ad immaginarne il domani.