La persona al centro, il capitale come mezzo, il lavoro come vocazione: una visione cristiana dell’economia che parla a tutti, credenti e no.
di Pietro Bucolia – Consulente finanziario e narratore economico
L’IMPRESA NON È UN’IDEA, È UNA PERSONA
Nel 1982, San Giovanni Paolo II incontrò lavoratori e imprenditori e pronunciò una frase che oggi suona profetica: “L’impresa è per l’uomo, non l’uomo per l’impresa.” Una sintesi potente, che rovescia le logiche dominanti dell’economia contemporanea. E rilancia una domanda essenziale: a cosa serve davvero un’impresa?
Secondo la Dottrina sociale della Chiesa, l’impresa è prima di tutto una comunità umana, non una macchina di produzione. È un luogo di relazioni, di responsabilità condivisa, di crescita personale. Dove si lavora, si vive. Dove si produce, ma anche si partecipa, si educa, si costruisce senso.
LAVORO E CAPITALE: NON NEMICI, MA ALLEATI
Giovanni Paolo II, con l’enciclica Laborem exercens, ha restituito al lavoro una dignità teologica e civile. Ha denunciato il conflitto tra “mondo del capitale” e “mondo del lavoro” come una distorsione da sanare. Non c’è vera impresa senza armonia tra chi lavora e chi investe. Il capitale è mezzo, il lavoro è fine.
Nessun sistema economico può dirsi giusto se non riconosce che il lavoratore è persona prima che risorsa, soggetto prima che costo. E ogni imprenditore – credente o laico – è chiamato a confrontarsi con questa verità: l’economia non è solo efficienza, ma giustizia.
L’IMPRENDITORE COME LEADER DI COMUNITÀ
Chi è allora l’imprenditore, in questa visione? Non un dominus, non un semplice manager, ma un leader comunitario. Una figura che tiene insieme la strategia e la cura, l’organizzazione e l’umanità. Paolo VI lo disse chiaramente: “Avete molti meriti e molte responsabilità.”
La Dottrina sociale non idealizza l’impresa, ma ne riconosce la potenza trasformativa: se ben guidata, può essere strumento di bene, di coesione sociale, di promozione umana. Per questo parla all’imprenditore come a un vocato, un chiamato a creare valore che non sia solo economico.
UNA PAROLA PER CHI CREDE. E PER CHI NON CREDE (ANCORA)
Questo messaggio non è solo per cristiani praticanti. È un appello rivolto a ogni coscienza aperta, a ogni imprenditore di buona volontà. Perché la visione cristiana dell’impresa non si impone come dogma, ma si propone come orizzonte umano, civile, etico.
Chi crede, vi riconosce una chiamata evangelica. Chi non crede, vi può trovare un’idea di economia al servizio della società, capace di coniugare giustizia, sostenibilità e benessere condiviso. In fondo, non serve credere in Dio per credere nella dignità dell’uomo. Ma se ci credi davvero, è lì che Dio si fa presente.
IL DRAMMA DEL LAVORO UMILIATO
Troppe imprese oggi operano al contrario: il lavoro viene trattato come merce, il licenziamento come strategia, la paura come leva. Le crisi, la globalizzazione selvaggia, l’automazione hanno trasformato molti lavoratori in scarti sociali. Il profitto ha divorato il senso.
È il tempo dell’“economia dell’esclusione”, come l’ha definita Papa Francesco. Ma non è un destino inevitabile. È una scelta. E come tale, si può cambiare.
IMPRESE POSSIBILI: DALLA TEORIA ALLA VITA
Non mancano esempi virtuosi. La Corporación Mondragón, nei Paesi Baschi, è una cooperativa che dimostra che è possibile conciliare efficienza e giustizia, produzione e democrazia interna, innovazione e solidarietà. I soci sono lavoratori e imprenditori insieme. Nessuno viene lasciato indietro.
Come Mondragón, anche movimenti come l’Economia di Comunione, l’economia civile, quella solidale o del bene comune propongono modelli alternativi, già reali, già concreti. Dimostrano che non è utopia chiedere di lavorare bene e vivere meglio. È responsabilità.
L’EVANGELIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
La grande sfida – per credenti e non – è quella di evangelizzare l’economia, non nel senso di imporre un messaggio religioso, ma di restituire anima e umanità ai meccanismi economici. Questo è il compito dei nuovi imprenditori, di chi vuole lasciare un segno.
Fare impresa non è solo una professione. È un atto culturale, sociale, spesso spirituale. È costruire un pezzo di mondo. E ogni pezzo costruito con giustizia, con coscienza e con amore, diventa parte di una civiltà più umana.
ESSERE ANTENATI
Ecco il punto. Che antenati vogliamo diventare? Che traccia vogliamo lasciare nei cuori, nelle famiglie, nei territori, nelle imprese?
Ogni imprenditore – credente o no – può decidere se limitarsi a gestire il presente o contribuire a generare un futuro. Il primo guarda i margini. Il secondo guarda le persone.
Chi ha ricevuto molto, può restituire molto. In dignità. In lavoro vero. In speranza.
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